L’Associazione culturale DayDreaming Project, in collaborazione con KNULP presenta:
Le sue figure prendono le distanze dall’accademismo pittorico, che rimanda ad un passato onnipresente, e ciò accade quasi in punta di piedi, portando avanti una sottile e quanto mai accurata analisi di gesto ed espressione, messaggeri di un sentire più moderno e comunicativo.
(Sergio Pancaldi)
His figures draw off pictorial academicism reminding of an omnipresent past, almost tippy-toeing, bringing forth an accurate and subtle analysis of gesture and expression as couriers of a more modern and communicative feel.
(Sergio Pancaldi)
E’ un’occasione interessante lasciarsi interrogare dalla mostra “Persona” di Davide Garbuggio, che DayDreamingProject presenta al Knulp. Una panoramica della sua produzione artistica che in uno stile pittorico tradizionale affronta una ricerca sull’autoritratto e la corporeità accanto a tematiche religiose.
L’etichetta di stile accademico sembra offrirci un percorso prevedibile, e invece l’artista smentisce le nostre attese. Garbuggio sceglie il confronto con valori espressivi già codificati, ma realizza opere dove è riconoscibile una elaborazione originale. Ci riferiamo ad alcune tele dove l’artista si misura nell’autoritratto e nella raffigurazione del corpo, nel rispetto di una composizione tradizionale, ma con uno scarto.
Il punto critico si trova là dove compare una deviazione dal codice che regola la rappresentazione del nudo. Una forza trattenuta sprigiona l’autoritratto sullo sgabello, con una posa estranea ai canoni, la testa rovesciata all’indietro. Quasi un sudario cancella la nobiltà del capo e del volto, e scende sui fianchi, dove sottolinea un corpo in pienezza. Il drappeggio non è una semplice citazione dalla storia dell’arte, ma un elemento dotato di senso, che esclude il dominio della razionalità della mente-testa. Così il corpo appare come puro atto, unica forza per incidere nel reale . Il drappo sul fianco copre/scopre una virilità che pare anche femminile, con un rimosso dall’effetto straniante.
L’elemento tessutale ritorna in altre opere, come nella figura femminile dove un panneggio denso ricopre un grande seno materno. Anche qui la testa e gli occhi sono coperti dal tessuto, che diventa un velo trasparente e funebre su una mano appoggiata al petto. Il drappeggio fitto di pieghe è la forma di un pathos intenso e magmatico. Sembra l’immagine di una dea madre, nella temibile ambivalenza di colei che dà e sottrae vita ad un tempo, resa inoffensiva dal sonno.
Ritroviamo la stessa presenza materica in due opere in cui l’artista si ritrae nelle vesti di un Giobbe irato e di un profeta carico d’anni. In entrambe le immagini c’è una modulazione del colore rosso, nella prima una drammatica cascata che copre il fondo , mentre nella seconda tela il colore si addensa in un drappeggio pesante, accordato con un tessuto bianco, sul fondo nero, una citazione caravaggesca.
Il Giobbe irato ha un urlo di ribellione che deforma la mimica del volto e la gestualità delle mani. Il panneggio annodato attorno ai fianchi si stacca dalla figura con un teso arco, gonfiato da un vento impetuoso. Sembra la scena di una biblica contesa con Dio, in cui il rifiuto dell’ordine divino viene gridato ma sempre all’interno di un dialogo che riconosce nell’Altro un interlocutore. Così la figura di Garbuggio che esplode nella negazione, ma rimane investita dal vento potente, la presenza dello Spirito.
La dimensione problematica del rapporto tra umano e divino si coglie anche nell’autoritratto che isola il volto, illuminato da una luce cruda che piove dall’alto e scava ombre profonde e buie nei tratti, come ferite spalancate dove il dubbio rimane senza risposta.
Al corpo è affidata la lotta silenziosa e titanica contro ciò che lo imprigiona, nel nudo inginocchiato che oppone resistenza all’equilibrio sconvolto di pareti inclinate, così come nel nudo di schiena l’arco della massa muscolare e i pugni serrati contro il muro esprimono la violenza di questo duello contro ciò che limita, che separa.
Il titolo della mostra ci offre una chiave per queste immagini. “Persona” è una maschera che l’individuo porta costretto dalle leggi e dalle convenzioni sociali, e che nasconde la personalità autentica. Nell’opera che rappresenta a grandi dimensioni le mani rugose e intrecciate possiamo identificare un topos che coagula significati di notevole peso, quelli di una esistenza umiliata, fatta di Lavoro, Fatica, Terra. Le mani ritratte hanno una dimensione extraumana che dà il peso schiacciante della memoria e del modello a cui quei significati rimandano. E si sente quanto forte debba essere quell’urlo e con quanta forza le mani siano rattrappite nel gesto di rabbia nel Giobbe irato, al confronto con queste grandi mani che scandiscono la legge dell’appartenenza. Segno fondamentale di riconoscimento identitario, ma anche forza castrante contro cui lottare per affermare la propria individualità.
Se l’opera d’arte è una domanda, quella che la mostra ci pone è di straordinaria chiarezza e incisività. Ci auguriamo che la ricerca espressiva di Davide Garbuggio continui con la stessa intensità di elaborazione, e prosegua per vedere cosa sta oltre l’urlo.
Patrizia Miliani