L’Associazione culturale DayDreaming Project, in collaborazione con KNULP presenta:
L’ARTE OLTRE LO STILE
ANTOLOGICA 1989- 2009
Mostra di Marina Marcolini
a cura di Elena Cantori
vernissage: domenica 11 aprile alle ore 17
la mostra sarà visitabile dall’11 aprile al 12 maggio
Marina Marcolini bresciana di origine, ma cittadina del mondo. Ha vissuto per oltre vent’anni in paesi lontani quali l’Africa, il Sud America e i Balcani seguendo il marito coordintore di progetti di sviluppo per il Terzo mondo.
Questo suo girovagare fa si che il suo stile esprima la sua curiosità per il mondo che la circonda usando di volta in volta tecniche diverse e accogliendo le influenze del paese ospitante. Tra tutte le esperienze vissute il segno più marcato è sicuramente quello africano riproposto nei volti delle donne di queste terre che esprimono dignità, bellezza, ma anche un senso di triste consapevolezza. Si definisce autodidatta, ma la sua formazione avviene presso l’Accademia Cignaroli di Verona dove apprende l’arte figurativa classica che in questi ultimi anni ripropone con citazioni contemporanee a volte provocatorie ed ironiche.
Come già accennato una delle qualità principali dell’arte di Marina Marcolini è quella di non essere fedele ad uno stile perchè « non si può restare in nessun dove». Ha esplorato diversi linguaggi artistici passando dall?’arte povera, realizzata in un paese povero ma ricco di suggestioni come l?’Africa, attraverso l’utilizzo delle carte stagnole, del catrame e del cemento, per arrivare all?’iperrealismo subito superato nel lirismo della memoria di antichi panneggi e nell?’erotismo della carnosità delle pieghe delle macro-verdure, ai già menzionati intensi e silenziosi ritratti di donne africane, alla malinconia romantica dei notturni, dove la scomparsa dell?’uomo lascia posto alla vegetazione e agli animali che si rimpossessano della terra, alle ultime ironiche e a volte dissacranti opere di rivisitazione dei grandi capolavori. Il critico Osvaldo Ponzetta definisce la sua arte citando Friedrich «l?’unica fonte vera dell?’arte è il nostro cuore, il linguaggio di un?’anima pura e candida. Un quadro che non scaturisca di là può essere solo un vano virtuosismo. Ogni opera autentica, è concepita in un’?ora sacra,a ttuata in un?’ora benedetta; un interno impulso la crea spesso all?’insaputa dell?’artista.»
La mostra antologica delle opere di Marina Marcolini dal titolo ?L’ Arte oltre lo stile 1989 – 2009? sarà visitabile presso Knulp di Trieste in via Madonna del mare n. 7/a a partire dalle ore 18.00 di domenica 11 aprile 2010.
Elena Cantori
curatrice della mostra
MARINA MARCOLINI
L’ Arte oltre lo stile
Spazio Knulp Via Madonna del Mare – Trieste 11 Aprile/13 Maggio 2010
DayDreamingProject presenta al bar libreria Knulp fino all’11 maggio 2010, la mostra di Marina Marcolini “L’arte oltre lo stile”. Si tratta di un’antologica dal 1989 al 2009, che propone opere di grandi dimensioni in una tecnica ad olio che si segnala per la sontuosità del colore, la chiarezza del tratto e la ricchezza della composizione.
Marcolini sfoglia davanti a noi un manuale di storia dell’arte, e gioca ad interrogare la nostra memoria iconografica tra dame, ermellini, veneri, fanciulle soporose, cigni e annunciazioni. La tradizione pittorica è come un immenso spartito musicale da cui isola un tema e si dedica all’arte della variazione. Con un dettaglio, una sostituzione, un’assenza, interviene sull’immagine codificata e ci regala il brivido dell’inatteso. Sembra un vezzo intellettualistico, e invece questo scarto dall’originale è il luogo dove l’autrice dà forma ad un inquietante mondo immaginale.
Nella rilettura Leonardo, Beato Angelico, Fussli, Tiziano, Raffaello, Van Eyck, sono i “sei gradi di sublimazione” della materia pittorica con cui l’artista opera il passaggio da un’ immagine tradizionale e rassicurante ad un’altra, freudianamente perturbante. E lo sconcerto è tanto più grande perchè in un controllato dominio della forma appare la violenza di un mondo istintuale senza attenuanti.
Nelle opere esposte l’attenzione prevale su un femminile rappresentato in scene che vedono le protagoniste mai trionfanti, contaminate da un ordine maschile variamente simbolizzato. Le donne in queste opere dormono, o posano statiche nell’inazione, o brillano come presenze fantasmatiche, solitarie o abusate, conquistano il proscenio soltanto nella purezza dell’ oca.
“L’annunciazione” replica l’impianto di un Beato Angelico, ma non c’è destinataria né messaggero. La scena è invasa da due grandi uccelli in un disordine plastico di piume bianche e azzurre. Non sono colombe, non sono aquile, ma appaiono come il denso segno di un ordine soverchiante, in un piumaggio che non ispira nulla di celeste, ma un più carnale ribrezzo. Un’ esile colonna sbreccata nel mezzo testimonia di un’ integrità perduta, qualcosa di violato.
Due notturni di grande suggestione mostrano la perizia dell’artista nel trattamento della luce e dell’oscurità. Tra le rovine della scuola di Atene, oche starnazzano sostituendo ai paludati e pomposi filosofi il chiacchericcio di un cortile, la sofia autentica. L’altra tela costruita su stilemi del romanticismo, rovine, notte e luna, appare fortemente straniata dalla presenza di un leopardo, una ferinità famelica che si annida nel profondo dell’anima, quasi un set psicanalitico.
Continuando il percorso della variazione, Marcolini sottopone “ La dama con l’ermellino” a una cottura alchemica fino allo stadio della nigredo, e ci ritroviamo davanti un’aristocratica africana in panni leonardeschi, con un piacevole effetto di deragliamento anticlassico.
Ritorna una citazione dalla pittura romantica, la scena dell’incubo di Fussli, in cui il demone accovacciato sulla dormiente e il cavallo spettrale hanno la maschera di Dalì, sfumando l’orrore in una follia panica, che con il baffo eretto invade la coscienza aurorale della fanciulla-ninfa.
Il tema mitologico di “Leda e il cigno”, che ha avuto nell’arte interpretazioni simboliche o erotiche, viene ricreato dall’artista come un trionfo della morte, dove in un tripudio di piume dispiegate regalmente, il cigno esala un’essenza carnosa e colante dal becco. Zeus fatto fuori dal suo stesso desiderio.
E veniamo all’originale icona con cui la mostra è stata presentata : immersa in un velame rosso amaranto, Salomè in poltrona ci guarda e rivela la sua femminile schiavitù negli anelli ai capezzoli. Siede sorretta da un’irreale anatomia, come un burattino che abbia eseguito il suo numero. Un baffo-Dalì svetta diritto sul suo volto, mentre ai suoi piedi il piatto non esibisce la testa mozza del profeta, bensì un baffo inamidato. La cattiva principessa ha danzato e la morte ha colpito il baffo, il segno del sovrano evirato.
L’occasione per continuare una metaforica lapidazione del maschile è il Van Eyck rivisitato, in cui la solidità borghese dell’uomo ritratto viene trasformata in una fisiognomica da circo o da osteria grazie al naso colorato da una lunga sfumatura rossa .
L’artista prosegue l’esercizio retorico di amplificazione, assumendo questa volta lo sguardo di un Tiziano-Picasso. L’oggetto è una sposa colta nel letto solitario, contornata dai simboli della fedeltà coniugale. Ma l’occhio cubista incrina quell’armonia di ordine e tranquillità, la distrugge. Venere si spezza, la scena circostante resta tale e quale, la dea-donna si rivela una forma estranea in un mondo di pura convenzione.
Un’apparente riconciliazione del contrasto sembra avvenire nel ritratto di Andy Warhol, mistica unione alchemica di femminile e maschile. La creatura è un ibrido sublime nella congiunzione di opposti, siglata da una misteriosa serie di lettere dell’alfabeto. Ma anche una regale truffa, come suggerisce un finto diadema di finte perle incollato alla tela sulla biondissima frangia spiovente della “regina”.
Marcolini guida fuoristrada nel codice dell’arte, con il fragore di un’ immaginazione dai forti contrasti istintuali. Come un lapsus che affiora da sotterranee pulsioni nel discorso più controllato , così dalla perfetta forma pittorica che l’artista ci propone, emerge una visione inquieta e affatto candida del mondo. Possiamo non risvegliare il cuore romantico di un Friedrich per suggellare questa mostra, e goderci con istintiva soddisfazione estetica lo straniamento delle immagini che l’artista compone, una musica che sposa i timbri cupi e sacrificali alla sontuosa nitidezza degli archi.
Patrizia Miliani
staff ddproject