works:
KIRSTY MITCHELL
HELENA MIROSEDINA
PATRICIA ANDERS
KATIA CHAUSHEVA
CHIARA PERINI
Kirsty Mitchell (UK)
Fashion designer appassionata di fotografia. Nel suo lavoro si avverte
la necessità di una continua sperimentazione poetica che intreccia
l’espressione e la situazione del corpo ritratto in luoghi sospesi tra
il sogno e la realtà, resi magici da una brillante stesura e
composizione.
Helena Mirosedina (Ucraina) “Metamorphosis abduction Europe” e “Mental
Constructions” sono due serie che con ironia e umorismo reinterpretano
in chiave erotica sia le radici del mito occidentale (il ratto
d’Europa) che l’inquietudine della modernità.
Patricia Anders (U.S.A) Le maliziose creature di questa talentuosa
pittrice colpiscono per la grazia e per la sinuosa inquietudine che
emerge dai loro corpi ricomposti, reinventati parrebbe, nelle viscere
di un laboratorio segreto, eppure al contempo dotate di tanta ironica
naturalezza.
Katia Chausheva (Bulgaria) la ricerca di questa fotografa indaga con
sguardo curioso nell’intimità. Che siano tagli cinematografici o
composizioni pittoriche ciò che risalta è la nudità dei sentimenti e
la fragilità del corpo muliebre
Chiara Perini (Italia) artista italiana da anni ormai trapiantata a
Londra, ci propone olii e disegni a matita che ritraggono corpi e
ritratti di inquietanti donne-bambine che spiazzano lo sguardo.
Chiara Perini
Non so se nella sua storia di artista vengano prima gli oli o le matite. In entrambi i casi un critico provetto troverebbe percorsi e ascendenze mirabolanti, ma a me piace il gioco di assonanze e dissonanze.
Perché tanto “carucci” sono i bambini delle matite quanto sgraziati quelli martoriati dall’oli. Io guardo al problema tecnico: per esempio l’olio non si cancella ma si può solo modificare e allora Chiara rinuncia a stenderlo con l’attenzione della matita ma cerca altre potenzialità espressive. E poi l’olio non permette il tratto sottile e leggero della matita ma suggerisce la sfumatura, tenue o aspra. Chiara risolve il problema tecnico trasformando l’olio in un’arma feroce con cui supera il particolare nella foga espressiva di bambini che urlano e si dibattono per esprimere una violenta disperazione.
Qual’è la disperazione di questi bambini? Guardate gli abiti stritolanti come gabbie inattaccabili. E non pensate all’abito della prima comunione che nella sua candida grazia geometrica è piuttosto un omaggio alla severa e dolce sacralità umanistica di Antonello da Messina, ma alla bambina con la bambola che affida la sua ansia di vivere ai piccoli fiori colorati della ghirlanda, come un disperato messaggio nella bottiglia a un mare incolore, che non può che essere, tecnicamente guardando, minaccioso e infinito.
Il richiamo alla bad painting inglese di qualche anno fa va qui alle sue oscure radici. L’artista piega non solo una tecnica ma anche uno stile a ciò che le è più caro, alla ricerca di un carattere dominante come una colpa originale. Siamo lontani dall’ormeggio sicuro di qualsiasi isola culturale. Qui stiamo scendendo con Chiara nel ventre buio di una lontana educazione repressiva con enorme coraggio e sincerità. E’ la protezione dell’estetica ad aiutarla in questo difficile viaggio catartico che, come una tragedia greca, diventa paradigma dell’oggi. Ecco in che modo ci interessa la sua struggente testimonianza: nell’urlare che il passato non è poi così passato. Basta guardarci intorno.
Ma guardate bene le matite, perché esse hanno tutt’altro carattere. Qui la sofferenza è trattenuta a forza dai bei vestitini descritti con minuzia. Qui il dolore è ancora più forte che negli oli dove almeno i bambini si possono dibattere e urlare. Qui c’è una rassegnazione che solo la matita può esprimere e non per volontà dell’artista ma a causa della tecnica. La matita esige infatti il particolare e la precisione, cioè una capacità di concentrazione sul modo in cui il singolo segno può modificare l’intero ritratto da rendere l’esercizio del disegno simile a quello della meditazione.
E’ così che nel disegno non prevale un singolo moto, magari violento, dell’anima ma un equilibrio difficile e sofferto tra caratteri talvolta opposti. Dobbiamo amare il ricco vestito per dichiararlo prigione, e dobbiamo trovare la dolcezza dello sguardo prima di esprimere la sua disperazione.
Grande e difficile il disegno, ma certo non liberatorio come la pittura.
Cos’è allora che viene prima nella storia di Chiara? Ha iniziato a dipingere dopo aver molto disegnato? O viceversa ha dovuto urlare prima di meditare? Ma forse questi sono solo fatti suoi.
Mauro Tonini