works:
ANDREY BARTENEV
AKA B
BOB FISCHER
CRISTINA BATTISTIN
ANDREA ALVERA’
ANDREY BARTENEV (Mosca, Russia): Performer, scultore, artista visivo e molto altro ancora, dagli spazi della Biennale alle strade di NY emerge con il suo universo caleidoscopico interpretando e stabilendo nuove connessioni tra la pop-art e le avanguardie russe
AKA B (Milano, Italia): Illustratore dal graffio magistrale, di profondità e sensibilità non comuni. Dice di sé “È con infinita agape, molto più che schopenhaueriana, che ho compreso, senza per questo immedesimarmi, di essere di fronte a una platea di morti”. Prestigiose collaborazioni con Marvel, DC Comics e altre case editoriali contrassegnano il suo percorso.
BOB FISCHER (San Francisco, USA): In arte Photomeister è un fotografo, artista e filmaker che non si adagia nelle mezze misure, basta osservare i suoi lavori, dai modelli che predilige alle tonalità spesso aspre e taglienti delle sue immagini, con poesia e ironia sovverte il concetto stesso di bellezza.
CRISTINA BATTISTIN (Trieste, ITALIA): Giovane insegnante oltre che affermata artista. Una dichiarata passione per Giacometti e per il disegno. Sicuramente una delle realtà più interessanti del capoluogo giuliano.
ANDREA ALVERA’ (Trieste, ITALIA): Dalle file del Daydreaming Project, immagini fotografiche di un microcosmo denso di curiosità e purezza. Non importa quello che dice di sé: in Alverà c’è molto più di quello che appare…
Farebbero comodo ai disegnatori di Disney queste foto perché non colgono solo la meravigliosa e stupefacente vita della natura, ma fanno un, pur difficile, passo in più: come un lampo che non si ripeterà mai più, rivelano a noi caratteri ed espressioni che credevamo non potessero nemmeno appartenere a un modo che non fosse quello degli umani.Lo scarabeo che traballa sul filo d’erba, la mantide che ci guarda sorpresa, il ragno che sfida il tempo fissandoci dal vuoto (o in quello che noi crediamo tale) dello spazio… questo è il nostro mondo e noi non lo sappiamo finché qualche artista non si prende la briga di documentarlo, senza respiro come nell’attimo teso del click fotografico.Ma è tutto qui? No di certo. Questi animali hanno una storia come ognuno di noi e spetta alla fotografia rivelarne un pezzettino che, per quanto infinitesimo, è pur sempre tantissimo rispetto a quanto potremmo sapere in qualsiasi altro modo. E qui la magia della fotografia incontra la sapienza del fotografo che sa scegliere l’inquadratura, mai scontata e piatta, e l’attimo del click, non banale, della massima espressione nel minimo istante.Perchè un gesto non è mai uguale a un altro e tocca all’artista scegliere quello giusto. E neppure uno sfondo può essere scambiato con un altro perché la farfalla appartiene al cielo, la lumaca vive del germoglio, e quale letto è più morbido di un fiore per un pomeriggio d’amore?E’ questa una fotografia particolare, che non può scegliere l’attimo né la scenografia tra le forme del gusto corrente, ma deve adeguarsi alle necessità della natura, deve farsi osservazione pura, muta e dimentica di sé. Qui non c’è posto per facili soggettivismi; qui il fotografo deve diventare un po’ ragno, un po’ scarabeo, un po’ mosca.E poi quegli occhi, che noi spesso non sappiamo nemmeno come sono fatti perché sono troppo piccoli per poter esser visti dal nostro sguardo distratto… quegli occhi sono il segno che queste foto non sono fatte solo per contemplare ma per comunicare, e per ricordare a noi che non siamo soli e che se esistiamo è forse grazie anche a ogni farfalla che porta ovunque i semi dei fiori.E che dire dei colori brillanti che rendono magnifiche e degne dell’incanto del mondo anche le forme più mostruose?C’è insomma da ridere, da ammirare ma soprattutto da sorprendersi di questi animali e del loro intento esistere, roba da fare invidia a molte nostre giornate uggiose.
L’oro, la stoffa, i tatuaggi, il chiaroscuro delle scenografie non sono che aggettivi, sontuosi, di corpi già di per sé martoriati e tatuati dallo scorrere del tempo. C’è una morbosa insistenza sulla rovina che ricorda i tortuosi giochi formali di certa pittura barocca. Pensate a Rubens. Ma riguardate anche Rembrandt e ritroverete nella luce l’attimo infinitesimale del tempo che rivela all’improvviso il segno spaventoso del tempo sui corpi e sulle cose: il segno della storia.Queste fotografie non sono semplicemente corpi, ma epifanie lussuriose di un mondo intero che nel suo disfacimento si fonde con la carne. E nella carne c’è il mondo e sembra che lo debba prendere tutto su di sé per poterlo vivere. Spuntano gli occhi, sempre vivi, quasi spiritati, di chi crede di poter dominare l’inesorabile decadenza anche quando questa lo ha completamente divorato.O riflettono la luce, di quel caravaggismo che sarà poi carattere anche di certa fotografia, le forme già decadute non solo del flaccido corpo ma anche degli ottusi gesti: mangiare, guardare la tv, stare di fronte al fedele amico cane. E’ anche qui che talvolta il crudo tempo si rivela, prima che nei solchi del corpo. Come dire che bisogna stare attenti a non cedere alla morte la vittoria prima di aver combattuto e che forse televisione, cibo e facili affetti non sono alleati di questa lotta.E la lotta, quando non è baroccamente aggettivata da stoffe, tatuaggi e oggetti magici, è tutta contenuta nell’assoluta geometria muscolare della vecchiaia, illuminata nell’unico modo possibile, come assoluta affermazione di sé, forse disperata, ma forte, fortissima.